Il marketing tradizionale al quale i consumatori sono abituati, tende ad “inseguire” il cliente con il fine di compiere un’azione come l’acquisto di un prodotto; al contrario il reverse marketing, si basa sul pensiero di avvicinare il consumatore all’attività in modo naturale e spontaneo.
Il posizionamento insolito che si va a creare contro il proprio brand o il tone of voice totalmente critico e polemico, nei confronti dei propri prodotti, cattura l’attenzione di molte più persone. Poiché chi si trova dall’altra parte dello schermo è intenzionato a capire lo scopo di questa scelta di comunicazione.
Per addentrarci al meglio nel concetto di reverse marketing Clio MakeUp, la beauty influencer, di recente ha pubblicato sul suo profilo social un video nel quale si “pentiva” dei prodotti che lei stessa aveva creato.
Il video a primo impatto appare decisamene dispregiativo e autocritico poiché lei stessa in tono polemico menziona i prodotti in modo controproducente.
Perché il reverse marketing porta al successo?
La psicologia inversa in questo caso fa la differenza, poiché disincentivando il messaggio di vendita diretta, ci si concentra sul prodotto come focus della comunicazione. Di conseguenza gli utenti saranno interessati a reperire maggiori informazioni al riguardo.
Un altro esempio di reverse marketing viene da Patagonia, dove in un’occasione del Black Friday, il brand attira l’attenzione con il titolo “Don’t Buy this Jacket”.
Il vero obiettivo dell’azienda era sensibilizzare sul trend del consumismo, danni ambientali e acquisti consapevoli.
La campagna ha suscitato interesse nonostante la call to action negativa e Patagonia ha registrato un incremento del 30% delle vendite.
Da come si evince dai case-study, i risultati che si raggiungono attuando la strategia inversa alla classica comunicazione confermano che nella psicologia umana una volta dato un impulso negativo come quello del “non comprare” le conseguenze che si verificano spesso sono esattamente l’opposto.
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